ATTIVO O PASSIVO? (si parla di Bassi)
Dopo la scorpacciata i bassi di tutte le marche, dopo l’esasperata creatività dei liutai di tutto il mondo per forme e design, dopo tutta la ricerca sull’elettronica e l’ottimizzazione dei suoni…. si ritorna al Fender.
Tornare al vecchio e sano Fender sembra la tendenza oramai globale e assoluta per qualsiasi tipo di genere suonato. Quella che oramai sembrava una scelta generica per bassisti poveri è diventata uno status symbol della musica che differenzia il musicista professionista dal “ragazzo”.
E sembra che il motivo di tutto questo sia perché tutto il resto non sembra all’altezza di quel primo esperimento di basso elettrico che Leo Fender costruì per giunta in economia. In effetti la qualità dei legni in tutti gli strumenti vecchi risulta migliore dei nuovi; ma l’elettronica???.
Come è possibile che il progresso e la ricerca degli ultimi anni non abbia scalfito quella prima rudimentale invenzione elettro-magnetica?
Posseggo anche io un Fender (e me ne sono girati diversi fra le mani) ma comparandolo con altri Bassi pre-amplificati che posseggo, non mi sembra migliore; bellissimo, ma quanto tutti quegli altri. Ho un Pedulla (attivo), un Modulus (attivo), un Blade (attivo), un Ken Smith (attivo) e a pensarci bene, il Fender nella sua “passività” in fondo in fondo, mi appare anche scomodo per alcuni versi, perchè non permette di interagire sul suo suono che di base è abbastanza neutro.
Ma forse proprio questa è la fortuna di questo basso che fra i pochi passivi che sono ancora a giro possiede quelle frequenze che da un punto di vista fonico lo rendono sempre facilmente intellegibile senza permettere al musicista di personalizzarlo con un extra condimento di frequenze distruttive.
Il basso attivo infatti, è come un’arma che spesso si ritorce contro di noi bassisti perché speriamo, enfatizzando l’equalizzazione e più precisamente le frequenze basse, di raggiungere un suono che solo un grande P.A. può dare. Facendo così invece, diventiamo ingestibili per qualsiasi fonico perché “inchiodiamo” l’impianto con un segnale a cui mancano proprio le frequenze medie (quelle udibili). Chi deve gestire il nostro suono deve impazzire comprimendo, tagliando, o abbassando il segnale ma sempre combattendo col fatto che se il segnale a monte possiede troppe basse non sarà possibile tirare fuori niente di buono…
I fonici da tempo si premuniscono con una D.I. per bypassare i gusti personali del musicista che sul palco desidera quel suono profondo che lo gratifica mentre suona, ma con un basso pre-amplificato anche questo stratagemma salta…
In studio poi è anche peggio perché nessun pre montato su un basso può competere con la qualità di quello del Mixer. Insomma la frase finale è sempre la stessa: cosa di meglio che un buon basso passivo come il “Jazz” che lo attacchi e senza controlli ti da tutto quello di cui hai bisogno?
A questo si aggiunge il fatto che l’avvento del digitale ha esasperato la definizione dei suoni e che questa non è più richiesta alla radice da alcuni strumenti come il basso: Una volta se non avevi le corde “zigrinate” fresche fresche, che smetallavano a guardarle, non eri ben accetto in studio perchè avevi un suono troppo “ignorante” ed era poi difficile tirare fuori il suono del basso dalla melma, ma ora al contrario, con corde usate ed un suono “medioso” il basso riesce a ritagliarsi con più facilità una propria collocazione sonora emergendo da una infinità di suoni supersofisticati.
Da questi presupposti è esplosa la moda del “vintage sound” e la ricerca dello strumento vecchio come garanzia assoluta di qualità… A mio parere su questo argomento si è creata una mania che a volte supera la decenza creando immagini surreali sulla superiorità a prescindere dei Fender su qualsiasi altro strumento: e i Sadowsky? i Fodera? i Furlanetto? Nessun fonico si permetterebbe mai di dire a Marcus Miller di usare un basso passivo.
Di certo è che Il Fender, fra i bassi più semplici per così dire, dimostra con gli anni che quella combinazione di legni e quel rudimentale circuito elettro magnetico rimane ancora oggi una alchimia unica e vincente di immagine oltre che di suono.
Stefano Allegra
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