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Nati per la musica? Non tutti sono daccordo, infatti la musica è da sempre la Cenerentola di tutte le materie scolastiche, ma della musica non è possibile farne a meno, è qualcosa di cui abbiamo e avremo sempre bisogno, per la nostra cultura e.. per sentirsi bene dentro.
Ecco un bellissimo articolo di Manuela Garroni che spiega perfettamente cosa sta succedendo a questa materia nel nostro sistema scolastico.

Lo Staff di ISI

Insegnanti non qualificati, corsi improvvisati, ecco come si impara la musica a scuola.

Considerata da sempre ultima ruota del carro della formazione scolastica, la musica non riesce proprio a farsi riconoscere il proprio valore e a divenire materia curriculare. Suffragati dalle conoscenze della neurofisiologia, sappiamo ormai da tempo che “una regolare pratica musicale” non incide soltanto sullo sviluppo di una sana attività ricreativa, cosa tutt’altro che irrilevante, ma agisce direttamente sul rendimento scolastico poichè sviluppa le facoltà cerebrali in un modo insostituibile. L’apprendimento musicale interviene, infatti, sugli schemi motori e neurologici, sulla capacità di attivare contemporaneamente i due emisferi cerebrali (cosa che non avviene nello studio di altre materie, ad esempio il pensiero matematico si sviluppa nel lobo destro, mentre la parola in quello sinistro), sviluppa la memoria, obbliga ad una disciplina dell’apprendere e dell’eseguire e rappresenta uno straordinario fattore educativo di ascolto e convivenza. Conoscere la musica è impegnativo ed è vero che è più difficile suonare che svolgere un tema in italiano o risolvere un problema di matematica, ma mentre le due materie sono giustamente considerate basilari, si pensa comunemente che della musica si possa fare a meno, o che comunque ci siano cose più importanti alle quali dare la precedenza. E’ noto a tutti quanto sia imbarazzante e dannoso non saper leggere, scrivere o far di conto, e quanto invece sia ritenuto del tutto normale l’essere stonati, non riuscire a differenziare nessun tipo di scala musicale o non saper tenere un tempo; come se tutto ciò non facesse parte di un bagaglio indispensabile all’espressione della propria personalità che, se si ignora la musica, si presenterà disarmonica i incompetente nell’ascolto della realtà che la circonda. Questo modo di cosiderare l’educazione di un individuo ha portato a un paradosso: la legge prevede la possibilità di scaricare dalle tasse le quote che si pagano per lo sport o per le lingue straniere, mentre non prevede alcun tipo di rimborso per quelle versate per i corsi musicali in strutture specializzate. Ma non basta. Le recenti normative pur prevedendo l’istituzione dei laboratori musicali nelle scuole, non ne prevedono il finanziamento. In mancanza dei fondi necessari, i corsi di musica, ovviamente facoltativi e con frequenza pomeridiana, per non disturbare l’iter delle materie curriculari considerate le vere materie scolastiche , sono pagati dai genitori. Spetta dunque a loro comperare i corsi di musica, piuttosto che quelli di teatro, di mimo o fioretto, possibilmente a rotazione, in modo che non si possa fare un percorso negli anni, e soprattutto avere una progettualità didattica! Ci dice Giuliana Pella, insegnante e coordinatore didattico della Scuola Popolare di Musica di Testaccio di Roma:

“Il nostro contatto concreto con le famiglie e le scuole, ci porta a segnalare la tendenza a privilegiare eventi e logiche di mercato piuttosto che attività educative decentrate, continuative, con possibilità di crescita, in attesa di un auspicabile inserimento di stabili figure professionali (musicisti/insegnanti) nelle scuole dell’infanzia e in quelle primarie. Nelle scuole pubbliche romane, negli ultimi anni, i progetti musicali inseriti nei Piani di Offerta Formativa sono perlopiù a carico delle famiglie: il dirigente scolastico può avere o non avere consapevolezza del tipo di lavoro che viene svolto dagli operatori esterni ai quali sono affidati i progetti, delegando di fatto al rappresentante dei genitori la scelta della proposta. Mancando una finalità concordata in seno all’istituto, che individui le necessità degli allievi e del corpo insegnante e che stabilisca modalità e obbiettivi dell’attività, si è diffusa l’abitudine ad utilizzare gli operatori (più o meno qualificati) secondo criteri di simpatia o convenienza, come prodotti qualsiasi da  acquistare”.

Altra aberrazione: se svolta durante l’orario scolastico la musica deve essere insegnata dalla maestra o dal maestro. Una bella contraddizione: una scuola che  non ha mai riconosciuto l’importanza della musica produce chiaramente insegnanti che non la conoscono ma che dovrebbero insegnarla! E’ come affidare l’insegnamento dell’inglese a chi non lo parla, non lo scrive e non lo capisce. A differenza di tutti gli altri paesi europei, in Italia no è mai stato pensato un programma assennato di didattica musicale forse  perchè è mancata una politica scolastica che riconosca a questa materia il suo valore e agli insegnanti un’adeguata preparazione. L’insegnamento della musica  a scuola noin serve, ovviamente, a formare futuri musicisti, ma  a renderla patrimonio condiviso e condivisibile nell’esperienza intellettuale di ogni persona. L’insegnante che  tiene questi corsi, oltre al diploma, deve avere le competenze didattiche adeguate per rivolgersi a studenti dai 3 anni in su e deve essere in grado di fare proposte valide avendo a disposizione solo 2 o 3 ore settimanali. Tutto questo già esiste nelle realtà sperimentali e nel mondo dell’associazionismo, dove si sono venute a creare le nuove figure professionali della didattica musicale di base, ma non hanno ancora trovato spazio nella scuola dell’obbligo.

redazione@uppa.it

Manuela Garroni

cantante ed insegnante di musica
Roma




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