E’ il gioco di chi urla di più, il rialzo del volume e il ribasso della qualità. L’ultimo paradosso della musica che raggiunto il massimo della tecnologia adesso sprofonda al minimo della resa. Perchè per poter essere dappertutto, cellulari-ipod-computer, la musica ha venduto l’anima al digitale. Gli MP3 non pesano che un decimo dei cd, ma questa dieta drastica comporta la rinuncia a moltissime sfumature che facevano la gioia di tutti gli appassionati di HI-FI, ad un taglio netto alle “ARMONICHE” più belle (per i più tecnici cliccare qui per maggiori info). Dal rullante suonato con le spazzole al timpano roboante di un orchestra, dal triangolo delicato all’accordo più potente di un chitarrista rock…adesso suonano tutti allo stesso modo. Per mascherare tutta la perdita, la maggior parte dei tecnici del suono (chi non ha peccato scagli la prima pietra…) ha cominciato a fare iniezioni di decibel nelle registrazioni dei brani, un doping goffo ma potente, capace di distruggere ogni sfumatura. Compressori e “ULTRAMAXIMIZER” usati “ a palla” per un suono forte poderoso e costante…ma è giusto? Il Risultato? L’appiattimento sonoro totale, senza varietà timbrica come un tempo, decibel che scoppiano fuori dagli auricolari, il LOUDNESS, cioè il volume percepito è superiore come l’effetto di pienezza sonora ma… se tutto urla così forte, che differenza c’è? A cosa serve il volume alto se…non c’è più il volume basso? Sembra un concetto filosofico ma è proprio così. Anche le radio hanno forti COMPRESSORI nelle loro messe in onda, per cui se rimaneva qualche dinamica adesso è proprio sparita, oltretutto causando veri e propri stravolgimenti sonori, soprattutto nei brani di qualche hanno fa, mixati con un concetto diverso. Gli MP3 riducono il peso di un file audio anche del 90% se si vuole, comprimendolo, ovvero eliminando quelle frequenze particolarmente alte o particolarmente basse, e facendo “sparire” spesso le parti più importanti di una canzone. Questo processo di “semplificazione”, gonfia le onde sonore centrali a scapito di quelle estreme, e riduce la “gamma dinamica”, ovvero quella tavolozza complessiva di sonorità (dal pianissimo al fortissimo) che esiste in natura. L’analogia della tavolozza dei colori, ci dà la possibilità di fare un esempio con la fotografia digitale, oppure la digitalizzazione video, un esempio forse un po’ “troppo semplificato” ma giusto per rendere meglio l’idea. Pensate ad una foto analogica, fatta con la pellicola, bella definita, con i suoi pregi e difetti ma con tutti i colori e le sfumature acquisite al 100%. Bene, facciamo la stessa foto con una macchina fotografica digitale e archiviamo il file (chiaramente compresso) magari ad una definizione non altissima; verificheremo un appiattimento delle sfumature, dove c’erano dei grigi avremo una macchia nera, dove c’era un prato con tanti fili d’erba avremo un ammasso verde non diverso da un tappeto di plastica dell IKEA. Ma analizziamo adesso gli algoritmi di compressione dalla prospettiva “video” (qualsiasi algoritmo, tanto più o meno fanno la stessa cosa), cioè “digitalizziamo” un filmato di 30 secondi e cerchiamo di capire cosa succede. Immaginiamo un prato, un orizzonte con le montagne, un cielo, il sole, alcune nuvole, e nel prato un cagnolino corre verso di noi. L’algoritmo calcolerà la parte di video (i pixel) dove si muove il cagnolino, e il resto, praticamente fermo, lo tratterà come se fosse un fermo immagine. Questo farà risparmiare un sacco di memoria, ma… siamo sicuri che l’immagine (cagnolino a parte) era ferma? Il sole in 30 secondi non sarà certo tramontato, ma le nuvole forse un po’ si sono mosse, il cielo forse ha cambiato lievemente colore, nel prato forse c’era un albero con le foglie mosse al vento, ma che nel mpeg sembrano ferme, l’erba e i fiorellini del prato si sono leggermente mossi con il vento ma… il nostro “algoritmo risparmiatore” ha “pietrificato” tutto, cagnolino a parte, e noi non ce ne siamo accorti perchè siamo concentrati solo sulla simpatica bestiola. E nella musica? Vi rendete contro quali stravolgimenti possono esserci? Certo in un brano hip-hop non si sentirà molto, ma nel jazz, nella classica a volte non si riconoscono più i brani, spariscono intere sfumature, a volte non si distingue un violoncello da un contrabbasso. Ormai è un sistema così diffuso, che molti addetti ai lavori adeguano addirittura gli arrangiamenti, concentrando le parti più importanti solo nella parte centrale dell’immagine sonora. E’ un cambio di marcia..epocale! Il risultato è avere… suono dappertutto ..niente è più definito, è un po’ come avere..rumore dappertutto e’…la guerra del “loudness”. Non si tratta di volume quindi, ma di “volume percepito”, per svettare nei passaggi radio, nelle compilation, o competere con il rumore del motorino che passa quando si ascolta da un ipod. La “loudness” ha una unità di misura, la famosa RMS e la sua evoluzione spiega meglio, per il nostro scopo, di qualsiasi manuale di fisica. Negli anni ’80 la media di un brano rock era di -18db RMS. Negli anni ’90 la prima cura ricostituente la porta a -12db RMS. Ma è nel 2000 che a tutti i tecnici del suono scivola fortemente lo slide master del mixer.. cioè a meno di -10db, IN TUTTI I GENERI, senza preoccuparsi minimamente del risultato artistico. Nel rock o nel rap si arriva anche a -5db RMS, praticamente i led del mixer neanche si muovono più.. parte il brano e vanno al massimo per scendere solo alla fine. Consideriamo però che se a ZERO (0db RMS) siamo al punto dove oltre il quale il suono si distorce, beh.. è proprio il limite del livello di guardia! Tutti i fonici e produttori (me compreso ahimè) sanno benissimo che facendo così la cassa di confonde con il basso, che facendo così il basso si impasta con la linea di accordi.. una ..frittata di suoni… ma che ci vogliamo fare? Se non ti adegui fai brutta figura.. perchè se gli altri continuano a “pompare” i brani, e non lo fai …sfiguri e passi per uno che non sa mixare, o che “il pezzo non tira”.. Ma ATTENZIONE!! E’ vero che il cervello pone un attenzione particolare ai rumori forti, perciò i suoni compressi all’inizio “sembrano” più eccitanti, ma è un trucco che dura poco. Perchè l’eccitazione deriva dalla variazione di ritmo, timbro, tonalità e loudness, ma..tenere costante anche uno solo di questi parametri stanca incredibilmente il cervello che, dopo alcuni minuti, spinge incosciamente a passare ad un altro brano. Una sorta di “zapping musicale”..terribile vero? Ci si annoia subito… non a caso le ONDE SONORE si chiamano così, perchè sono un insieme di picchi e valli, e devono avere un andamento sinusoidale
mentre oggi, questa versione VITAMINIZZATA mette insieme dei “mattoncini” come quelli del LEGO (i famosi giocattoli della nostra infanzia). Che monotonia… e fa danni anche nei dischi del passato, perchè anche nelle versioni ri-masterizzate dei dischi più importanti viene applicata questa filosofia. Dai Pink Floyd ai Led Zeppelin i nuovi master non sono apprezzati dai puristi, forse è per questo che sta tornando tanto di moda il vinile… e ..chissenefrega allora dei graffi se torna la “magia” dei vecchi tempi!