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Vi presentiamo un bellissimo articolo dell’Ing. Francesco Ferraro, che si aggiunge ad i nostri “APPROFONDIMENTI” di Tecnica del Suono: Il preamplificatore microfonico!
L’Ing. Ferraro riesce a spiegare benissimo il funzionamento di questo importantissimo strumento, il 1° nella catena audio di una registrazione professionale; non a caso Ferraro è il creatore di uno dei migliori premplificatori microfonici esistenti sul mercato. il SONUM H20. Oggi che viviamo immersi nel mondo digitale, circola l’illusione che l’hardware sia inutile e tutto è possibile solo con un buon software ed un computer portatile…NIENTE DI PIU’ SBAGLIATO! Una buona registrazione parte da una ripresa microfonica PERFETTA! Se uno strumento o una voce non è preamplificata “al top” e convertita come si deve.. dopo non è più possibile fare niente.. nessun plug in può restituire quello che si è perso per strada. Ma lasciamo spiegare meglio l’Ing. Ferraro, buona lettura!
Mario Fabiani

IL PREMPLIFICATORE MICROFONICO
Il preamplificatore microfonico è il “primo outboard” che il suono trasformato in segnale elettrico incontra. Prima di esso troviamo solo il microfono con il quale l’artista si esprime. Possiamo dunque immaginare il cavo che collega il microfono al preamplificatore come il confine che separa l’artista dal tecnico del suono. Dal preamplificatore in poi, tutta la catena audio sarà “dominio” del tecnico del suono, fino ad arrivare ai monitor avanti ai quali l’artista ed il tecnico si incontrano per valutare insieme il risultato.
Il compito del preamplificatore è quello di prelevare i bassissimi livelli di segnale generati da un microfono e innalzarli fino ai livelli ottimali affinché essi possano essere successivamente elaborati.
Sul mercato si trovano moltissimi modelli di microfoni, ognuno di essi ha caratteristiche diverse adatte ad un particolare tipo di utilizzo.
Indipendentemente dal microfono che si utilizza si ha però l’esigenza di doverlo preamplificare, bisogna infatti rafforzare il piccolissimo livello elettrico di qualsiasi microfono prima di poterlo inserire in un amplificatore vero e proprio.
Volendo elencare alcune tipologie di microfoni utilizzati nel settore audio professionale troviamo:
• Microfoni a nastro che hanno come caratteristica principale quella di avere una bassissima sensibilità e quindi di richiedere una grande preamplificazione, sono microfoni degli anni ’60 che ancora oggi hanno il loro fascino;
• Microfoni a condensatore che hanno come caratteristica principale una grande sensibilità e linearità, un’ottima risposta alle frequenze medio/alte e alte e un’ottima risposta ai transienti;
• Microfoni dinamici, molto versatili e spesso utilizzati per il live o per microfonare gli amplificatori.

Per capire come funziona un preamplificatore andiamo a sviscerare la sua architettura interna.
Come prima cosa possiamo affermare che un preamplificatore è composto principalmente da tre sezioni distinte: un circuito di ingresso, capace di interfacciarsi con il microfono ed eventualmente alimentarlo, uno stadio intermedio di guadagno ed infine uno stadio di uscita capace di pilotare opportunamente la linea.
Ognuna delle tre sezioni necessita di una particolare cura per ottenere un risultato ottimale ed è facilmente immaginabile che, nel caso in cui una delle tre sezioni non sia all’altezza della qualità richiesta, il risultato finale avrà la qualità dello stadio peggiore essendo le tre sezioni in cascata tra di loro.

Approfondiamo ora il discorso analizzando la tecnologia utilizzata nelle tre sezioni menzionate.

Per quanto riguarda il circuito di ingresso, fino a non molto tempo fa, per accettare i segnali bilanciati dei microfoni professionali si utilizzavano i trasformatori che garantivano l’isolamento galvanico e permettevano di avere un primo step di guadagno.
Di contro questi dispositivi avevano diverse caratteristiche negative. Meccanicamente erano molto ingombranti e pesanti e, se si voleva la qualità, erano costosissimi. Inoltre, indipendentemente dalla qualità, non si poteva prescindere dal fatto che alla base della scelta di utilizzare un trasformatore c’è la consapevolezza di accettare l’introduzione delle non linearità, delle distorsioni di fase e delle distorsioni armoniche introdotte da esso.
Per venire incontro alle moderne esigenze di prestazioni sempre più spinte, difficilmente raggiungibili dai trasformatori, si è arrivati a sostituirli con “circuiti allo stato solido” capaci di ricevere “correttamente” i segnali bilanciati generati dai microfoni.
Ci sono diverse architetture di ricevitori bilanciati che permettono di ottenere ottimi risultati, i produttori quindi possono trovare il circuito più adatto cercando il giusto compromesso costo/qualità in base al target a cui si rivolgono.
In realtà ogni tecnologia ha sempre dei vantaggi e degli svantaggi che devono essere messi sul piatto della bilancia. Nel caso dei “circuiti allo stato solido” lo svantaggio da accettare è la mancanza dell’isolamento galvanico (garantito prima dai trasformatori). Alcune delle conseguenze della mancanza di isolamento galvanico sono il rischio di introdurre i noti “loop ground” che possono generare fastidiosi rumori di fondo difficili da eliminare, nonché il rischio di poter bruciare il preamplificatore nel caso si presentassero delle scariche elettriche o disturbi ad alta energia provenienti dall’esterno (come ad esempio delle scariche elettrostatiche).
Non bisogna però dimenticare i vantaggi di questa tecnologia che risolve i problemi dei trasformatori in quanto permette di ottenere un’ottima larghezza di banda e una bassa distorsione armonica e di fase.
Inoltre, volendo mettere alla luce un altro vantaggio dei circuiti allo stato solido, si può dire che essi permettono di accettare alti livelli di segnale senza introdurre saturazione e quindi di gestire il guadagno del preamplificatore nell’intero range del segnale di ingresso senza dover introdurre una rete passiva (il cosiddetto PAD) che degrada notevolmente il segnale ed il rapporto segnale/rumore. Questo grande vantaggio è stato sfruttato dal preamplificatore H2O da noi progettato, in esso abbiamo indicato la funzione PAD con la terminologia PAD attivo. In questo modo si è messo in evidenza il fatto che l’abilitazione del PAD non interviene con il tipico inserimento di una rete passiva, bensì tale abilitazione va a modificare l’architettura del preamplificatore abbattendo semplicemente il suo guadagno. Questa tecnica non sarebbe stata attuabile con un ingresso a trasformatore in quanto esso presenta un limite fisico di saturazione che non può essere superato.

Analizziamo ora lo stadio intermedio di guadagno. Ovviamente il giusto guadagno che il preamplificatore deve avere dipende dal campo di utilizzo. Un preamplificatore microfonico da studio dovrà portare il livello del segnale ricevuto dal microfono ad un gradino molto più alto rispetto ad un preamplificatore microfonico per uso consumer. In uscita dal preamplificatore il livello di segnale dovrà arrivare al cosiddetto livello di linea e, nello specifico, al livello di linea professionale stabilito nello standard +4dBu. (International studio level : Level in dB = +4dBu; Voltage RMS = 1.228V; Voltage peak-to-peak = 3.47V)
Dunque, partendo dal piccolissimo segnale elettrico restituito da un microfono, è necessario avere un guadagno che dovrebbe arrivare a circa 50-60dB per ottenere il giusto livello di uscita. Spesso i preamplificatori superano questa specifica in modo da poter avere margine di gestione e da poter regolare la preamplificazione a livelli di guadagno più bassi del massimo disponibile, con i conseguenti vantaggi. Ci sono però dei casi in cui effettivamente sono richiesti guadagni più alti, come ad esempio con l’utilizzo di microfoni a nastro o in alcune registrazioni di ambiente molto particolari.

Completiamo il discorso prendendo in esame il circuito di uscita.
Una volta che il segnale microfonico è stato portato al giusto livello è necessario interfacciarlo con il dispositivo a valle.
Il layer fisico utilizzato per la connessione tra i due dispositivi dipende fortemente dal campo di utilizzo. Considerando il livello di linea (al quale ormai ci troviamo) in ambito consumer troviamo connettori relativamente semplici, senza grosse pretese di robustezza, e cavi schermati sbilanciati, mentre in ambito professionale troviamo connettori più importanti e cavi bilanciati. Si può affermare quindi che, in base al tipo di impiego, avremo diverse caratteristiche fisiche del collegamento tra dispositivi per forma, dimensioni, numero di piedini dei connettori, ma anche diverse caratteristiche elettriche per livello di tensione e tipologia di segnale.
Prendendo ora in esame il campo audio professionale possiamo dire che nella maggior parte dei casi troveremo tipicamente: connettori di tipo XLR3 (cosiddetti Cannon facendo riferimento al produttore statunitense Cannon Electric che per primo li ha realizzati), livelli di tensione secondo lo standard denominato +4dBu e, infine, segnale di tipo differenziale o cosiddetto “Bilanciato” che permette una maggiore reiezione nei confronti del rumore indotto sui cavi. In realtà potrebbe capitare anche di incontrare connettori TRS o segnali sbilanciati, ma in questo caso ci troveremo un po’ sopra le righe e ci saranno degli adattatori che ci permetteranno di rientrare nello standard prima descritto.
Un segnale di linea di questo tipo può interfacciarsi con diverse apparecchiature audio professionali quali Monitor da studio, Console, Sommatori, Outboard di vario tipo (es. Compressori, Equalizzatori, ecc.) o direttamente a convertitori A/D o DAW.
Per pilotare bene questi dispositivi a valle, il preamplificatore deve avere un circuito di uscita capace di “bilanciare” il segnale e restituirlo con una bassa impedenza di uscita. Analogamente a quanto detto per il circuito di ingresso, fino a non molto tempo fa, anche per il circuito di uscita si utilizzavano dei trasformatori che permettevano di bilanciare il segnale ed eventualmente potevano introdurre un ulteriore step di guadagno. Anche in questo caso i trasformatori (con i vantaggi e gli svantaggi in precedenza descritti) sono stati oggi soppiantati dai circuiti elettronici bilanciatori che possono essere più o meno sofisticati e protetti da eventuali danni che l’operatore potrebbe generare.

Un altro aspetto importante di queste tre sezioni riguarda la tecnologia utilizzata. Qualcosa è stato già detto riguardo la possibilità o meno di utilizzare dei trasformatori di accoppiamento in ingresso e in uscita, ma vogliamo fare chiarezza su altri aspetti che spesso incuriosiscono l’acquirente e in particolare su alcune parole che frequentemente si sentono ripetere come “Preamplificatore in Classe A”… “Preamplificatore a componenti discreti”… “Preamplificatore a valvole”.
Cominciamo subito con il mitico “Preamplificatore in Classe A”. Ebbene nessuno di voi vorrebbe viaggiare in seconda classe… pertanto nessuno intende comprare un “Preamplificatore in Classe B”!!!
Eppure un preamplificatore in classe A non è sinonimo di preamplificatore di alta fascia come comunemente si ritiene!
La Classe di un preamplificatore dipende dall’architettura circuitale e di conseguenza dal tipo di “comportamento” che ha come risposta al segnale di ingresso.
Come mero elenco, utile per aiutarvi a capire, vi indico le classi fino ad oggi definite in elettronica: A, B, AB, C, D, E, G, H, T, Z. Ognuna di queste classi ha, ovviamente, determinate caratteristiche. In particolare, la caratteristica della tipologia in Classe A è quella di avere 360° di conduzione durante l’amplificazione di una sinusoide di test e questo significa che essa ha una grande linearità nella risposta non avendo “punti morti” di amplificazione in cui possono generarsi distorsioni. Questa tipologia ha però come contropartita una bassissima efficienza che, dal punto di vista teorico, può arrivare ad un massimo del 25% e pertanto non si può pensare di usarla per potenze medio/alte mentre è facilmente utilizzabile in un preamplificatore.
Veniamo ora al “Preamplificatore a componenti discreti”… qualcuno una volta mi disse: scusami se te lo chiedo… ma non potevi usare componenti migliori? :P
Ebbene, una macchina a componenti discreti non vuol dire una macchina mediocre!
I componenti discreti sono quelli che si contrappongono ai circuiti integrati. Agli albori dell’elettronica ogni circuito veniva realizzato utilizzando i singoli componenti elementari. Ogni circuito era costituito da qualche decina di componenti attivi come transistor e mosfet contornati da componenti passivi come resistenze e condensatori. Con il passare del tempo il numero di componenti attivi necessari per stare dietro alla complessità circuitale moderna è diventato di centinaia, migliaia ed oggi milioni di transistor. A questo punto non era più pensabile assemblare circuiti con milioni di transistor e si è pensato di realizzarli già connessi direttamente su un wafer di silicio, realizzando quindi un circuito integrato.
Nell’elettronica di oggi i circuiti integrati la fanno da padroni e sono sempre più sofisticati, se però si vuole assaporare la pasta dell’elettronica di base è necessario realizzare un circuito a componenti discreti.
Vi lascio infine con il nostro “Preamplificatore a valvole”.
In questo caso, oltre a decidere di non far passare il nostro segnale audio in migliaia di transistor che si trovano integrati nei componenti moderni (utilizzando quindi componenti discreti), faremo ancora un passo indietro, facendo finta di non sapere che è stato inventato il transistor e gestendo il suono con i tubi a vuoto. Questi ultimi permettono di gestire il flusso del segnale audio applicando un’opportuna tensione sulla loro griglia, un poco come si farebbe con la manopola collegata ad una “valvola” di un rubinetto.

Spero di avervi fatto entrare con la fantasia in quella scatoletta chiamata “preamplificatore microfonico”, in modo che da domani, quando lo guarderete, potete immaginare la voce dell’artista che viaggia tra i componenti del vostro preamplificatore per raggiungere lo stadio di uscita ed entrare nel vostro pc… chissà cosa faranno quei transistor alla voce?

Ing. Francesco Ferraro Caruso
Sonum

www.sonum.it

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